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Il blog di Girolibero

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Cucina etiope: piatti tipici, riti e tradizioni

Durante il nostro viaggio in Etiopia abbiamo fatto un giro al mercato di Addis Abeba, il più grande di tutta l’Africa, alla scoperta della cucina etiope,  tra i profumi e i sapori autentici di questa straordinaria terra, culla dell’umanità.

Le dimensioni gigantesche del mercato, in cui lavorano più di 13.000 persone in 7.500 attività diverse, all’inizio ci fa sentire un po’ disorientati e ci sembra di trovarci in una sorta di girone dantesco in cui non ci resta che procedere, seguendo un po’ imbambolati il flusso delle persone. Piccoli camion caricati all’inverosimile continuano a scaricare merce dei generi più svariati, gli asini e le pecore scorrazzano tranquillamente sulla strada polverosa e tutti sono impegnati a cercare di concludere l’affare giusto. Dopo un po’ siamo assuefatti al caos e tutto inizia ad avere ai nostri occhi un ritmo del tutto naturale, in cui ci immergiamo cercando di scrollarci di dosso l’aria da turista.

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Colazione al Mercato, cuore pulsante di Addis Abeba 

La varietà di merci esposte e la moltitudine di persone ci fanno sentire parte di in una vera e propria esperienza culturale che ci aiuterà a conoscere l’Etiopia in una maniera immediata e genuina.

Il profumo delle spezie e degli aromi si diffonde nell’aria mescolandosi ai gas di scarico e alle voci alte e indaffarate nella contrattazione.

È prima mattina e un venditore ci invita ad assaggiare la tipica colazione locale, un must della cucina etiope, il fit-fit, a base di kitcha, il pane azzimo tradizionale, condito con un misto di cipolla, niter kibbeh, burro chiarificato simile al ghi, e berberè, il misto di spezie che sta all’Etiopia come il chili al Messico. Conoscevo già questa miscela di spezie rossa e profumatissima, fatta con peperoncino, pimento, chiodi di garofano, zenzero, ruta e ajowan, una spezia che ricorda il timo, ma assaggiata qui in Etiopia ha ovviamente tutto un altro sapore. Ed è molto più piccante di quanto ricordassi! Insomma, il nostro tour pseudo-culinario inizia con una vera e propria colazione del campione.

Piatti tipici della cucina etiope

Poco più in là, una signora fasciata in un vestito verde smeraldo e dal sorriso luminoso vende farina di teff, un antico cereale senza glutine, simile al miglio, dall’alto valore proteico tipico della zona. La farina viene principalmente utilizzata nella preparazione dell’injera, il caratteristico piatto base della cucina eritrea. È un disco di pane dalla consistenza molto spugnosa su cui vengono messe le diverse preparazioni. I commensali strappano con le mani un pezzo di injera raccogliendo la pietanza che vogliono mangiare servendosene a mo’ di cucchiaio. In sostanza l’injera ha la doppia funzione di pane e di utensile e la sua consistenza permette di assorbire molto bene i sughi in modo da creare un bocconcino delizioso. Solitamente l’injera è servita come base dello zighinì, il piatto nazionale etiope, con sopra i wat, stufati a base di carne di agnello, pollo o manzo con verdure e berberè che hanno anche la loro versione vegetariana. In Etiopia infatti il mercoledì e il venerdì è tradizione non mangiare la carne. Anche gli shiro, una purea di fave, ceci o lenticchie con la cipolla, è un contorno vegetariano che può essere servito con l’injera assieme a dell’insalata fresca. Vicino alla farina di teff c’è la farina d’orzo farina, utilizzata principalmente per preparare il ga’at una sorta di budino di farina in cui viene fatto un buco al centro per riempirlo con un composto a base di berberè e niter kibbeh, burro chiarificato miscelato a cumino, coriandolo, cardamomo, cannella e curcuma, che viene servito come colazione.

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Il profumo seducente della Boswellia, pianta secolare

I profumi che provengono dall’angolo di una strada ci portano tra i venditori di spezie e di incenso. La Boswellia è una pianta autoctona molto diffusa in Etiopia e dalla sua resina gommosa si ricavano i profumati grani di incenso. Qui in Etiopia chiamano ettan, e il profumo varia a seconda della varietà di pianta da cui viene estratto. La pianta ha una chioma molto folta e può svilupparsi fino a raggiungere i 5 o 6 metri di altezza, e produce un’infiorescenza fatta di piccoli fiori bianchi chiamati racemi. La resina viene anche masticata per alleviare il senso di sete e in queste zone viene anche utilizzata a scopo curativo come antisettico e antibatterico.

La raccolta si effettua producendo delle piccole incisioni ovali sui rami togliendone la corteccia utilizzando il menghaf, uno scalpello affilato da un lato e non dall’altro per raccogliere la resina. Le specie che producono incenso la qualità di incenso più pregiata sono la Boswellia sacra, quella frereana e quella papyrifera. La resina viene selezionata in vari gradi di qualità a seconda della grandezza dei grani essiccati, del colore e della purezza. Fin dall’antichità l’uomo è ha utilizzato le sostanze aromatiche a scopo purificatorio durante i riti, le preghiere e in tutte quelle pratiche che avevano una valenza spirituale e qui in Etiopia accade di sentire nell’aria l’odore penetrante di questa preziosa resina bruciata molto più spesso che da noi. La mirra è una resina più polverosa che viene estratta da un’altra pianta tipica della zona chiamata Commiphora, da cui viene anche estratto il Balsamo della Mecca, una resina molto utilizzata, oltre che nella cosmesi, in campo erboristico in tutta la zona del Corno d’Africa. Il venditore, avvolto nel suo abito e nel turbante color sabbia, mi fa un ottimo prezzo e riesco a fare incetta di incensi di diverso tipo.

Viaggio alla scoperta delle origini del caffè

Pochi passi più avanti l’aria si satura di aroma di caffè appena tostato. La pianta della Coffea Arabica, originaria dello Yemen, venne introdotta in Etiopia già nel XIV secolo dove si diffuse rapidamente e venne coltivata.

Secondo la leggenda, Kaldi un giovane pastore della provincia di Kaffa, si stupì nel vedere che le sue capre pigre si risvegliavano improvvisamente, saltellando tutte eccitate, dopo aver mangiato alcune bacche selvatiche. Allora Kaldi le assaggiò ed ebbe l’impressione che gli dessero energia. A quel punto arrivò un monaco che, trovato il pastore in questo stato di euforia, pensò di provare anche lui le bacche. Quella notte, durante una lunga preghiera, si accorse di essere molto più sveglio e con la mente più attenta e più concentrata del solito. Condivise così la sua scoperta con tutti i monaci dei monasteri vicini, che da allora iniziarono ad utilizzare le bacche prima dell’inizio delle preghiere mattutine. L’usanza di masticare questa bacca si diffuse presso tutti i monaci dell’Etiopia e per molti secoli dopo la sua scoperta, il  caffè veniva masticato e non bevuto per infusione.

Il caffè Tradizionale della cucina etiope, Addis Ababa, Ethiopia

Il rito del caffè etiope

Qui in Etiopia il caffè viene chiamato bunna e viene servito con un rituale che prevede prima la tostatura in un pentolino, il biret mitad , messo sulla fiamma viva che diffonde tutto il suo delizioso aroma nell’aria, macinato poi in un mortaio, e infine fatto bollire e infondere in uno jebena, un particolare contenitore di ceramica. Il caffè viene poi filtrato con un colino di crini, dove rimangono imprigionati i fondi, prima di essere servito nelle tradizionali sini, piccolissime tazzine senza manico. Il caffè viene servito per tre volte, l’ultima accompagnata da un augurio di buona sorta, quasi fosse un brindisi. Sono molto tentata di acquistare una jebena, ma temo che non arriverebbe intera in Italia e così mi consolo acquistando del profumatissimo caffè.

Il nostro giro al mercato di Addis Abeba è riuscito a regalarci degli scorci di vita davvero unici e scoprire la cultura e la cucina etiope attraverso i suoi profumi e sapori decisi è un’esperienza che non dimenticherò facilmente.


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